Dispaccio Reading Wildlife #9 - Chi racconta le storie vince
Di fantascienza, resistenza, liberazione e partigianə, per un 25 aprile tutt'altro che sobrio
Una di quelle credenze popolari che ormai si sono incistate nella critica letteraria del fantastico è che, a spanne, il fantasy sia di destra e la fantascienza di sinistra. A concorrere alle colpe di questa semplificazione gaberiana troviamo, almeno dalle nostre parti, un’appropriazione tutta italiana di alcuni dei romanzi chiave del genere - da Aragorn ad Atreju - che altro non fa che dimostrare il fatto che nessuna persona di destra ha mai letto realmente Il signore degli anelli o La storia infinita.

Ora, sia fantascienza che fantasy sono generi così ampi, con almeno un secolo di storia alle spalle, con centinaia di migliaia di opere scritte, in corso di scrittura e da scrivere nel futuro che pensare che un intero bacino di storie possa essere legato a una visione politica è l’ennesima riprova che è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra o destra. Se pensiamo alla fantascienza delle origini, per esempio, quella delle storie di frontiera con gli astronauti al posto dei cowboy e gli alieni al posto dei nativi, anche arrampicandoci sugli specchi meno lisci del mondo le prime parole a venirci in mente non sono di sicuro uguaglianza sociale.
Questo perché la letteratura non viene scritta in un vuoto pneumatico da esseri oltremondani, ma da persone immerse nella società, nella storia, nella cultura, nella politica del loro tempo. Se tutto è politica (come diceva Thomas Mann) e soprattutto il personale è politico (questo l’ha detto per la prima volta Carol Hanisch, invece), a maggior ragione lo sono le storie che creiamo, sogniamo, leggiamo, guardiamo, viviamo. E quelle storie, come le persone che le scrivono e le leggono, sono politiche, ma non manichee. In virtù della loro storia, sia fantasy che fantascienza hanno ormai accumulato sulle loro spalle abbastanza canone da poter decostruire loro stesse, parodiare i propri archetipi, riflettere sui propri errori. Ecco quindi che una storia di colonizzazione come quella raccontata da Edward Ashton in Mickey 17 si rifiuta di perpetuare lo sterminio di chi c’era prima per permettere agli invasori di accaparrarsi terre e risorse. Anche i cowboy a volte si rendono conto di essersi spinti troppo oltre.

Possiamo quindi affermare senza paura di essere smentitə che la fantascienza possa essere tanto progressista quanto reazionaria, tanto impegnata a rafforzare lo status quo che a sovvertirlo; diciamo che, se proprio vogliamo trovare dei collegamenti un po’ meno forzati tra progressismo e fantascienza, possiamo azzardare che la spinta a speculare che viene dal pensare a scenari futuri e plausibili possa portare spesso ad analizzare il presente con occhio critico (ed ecco le distopie) o con (spesso malriposto) ottimismo. Ma poiché, come scrive Margaret Atwood in Dire Cartographies: The Road to Ustopia
within each utopia, [there is] a concealed dystopia; within each dystopia, a hidden utopia
ci sarà sempre chi farà il tifo per i cattivi, chi sparerà ai marziani, chi dirà che “la violenza non è mai giustificabile” intendendo però sempre e solo la violenza di chi sta dalla parte di chi è statə invasə.
Se è vero infatti che la storia la scrive chi vince, è altrettanto conclamato che dopo un determinato numero di decenni chi ha perso trova il modo di controllare la narrazione; è quello che sta succedendo adesso in Italia, è quello che in certe parti del mondo dove la colonizzazione non è fantascienza ma realtà (sì, l’ho scritto davvero) succede ogni giorno.
Se leggete questa newsletter nel giorno in cui la inviamo, la leggete il 25 aprile, il giorno in cui si celebra l’anniversario della liberazione d’Italia dall'occupazione nazista e dal fascismo. L’ottantesimo anniversario e di nuovo siamo qua con i fascisti al governo, con un decreto sicurezza confezionato apposta per infierire sulle persone migranti, che limita la libertà di sciopero e manifestazione e che tutela le forze dell’ordine e non lə cittadinə per cui quelle forze dell’ordine dovrebbero “esserci sempre” (ma immagino che il motto della polizia sia da intendersi come minaccia e non come promessa).
Ottant’anni durante i quali la resistenza è diventata un concetto da libro di storia, in cui gli unici partigiani che ci piacciono sono quelli che vediamo al cinema (e che non si chiamano così ma ribelli, che fa meno paura), impegnati a difendersi dall’ennesima morte nera, mentre nella realtà continuiamo a sommergere di applausi scroscianti la morte della democrazia.
Quando nel 1972 Ursula Le Guin scriveva del popolo indigeno di Athshe in Il mondo della foresta, era ovviamente ispirata dall’invasione statunitense del Vietnam in corso in quel periodo, ma la resistenza dei nativi nei confronti degli invasori terrestri, e la loro vittoria macchiata di sangue, echeggia ancora oggi, risuona nelle storie delle autrici e degli autori della diaspora palestinese che immaginano il futuro della loro terra in antologie come Palestina 2048, racconti a un secolo dalla nakba.



In the Future, We Can Go Back Home, questo il titolo del racconto di Sara Solara contenuto in Thyme Travellers: An Anthology of Palestinian Speculative Fiction, un titolo che è una speranza, un titolo che è resistenza, come resistono alle Stecche, e alla violenza del potere le protagoniste della dilogia Brucia la notte / S’infiammano le stelle di Michela Monti e Tiffany Vecchietti, immerse nelle saline della costa romagnola prima e intrappolate nelle dinamiche politiche di chi ha imparato le lezioni peggiori dai propri carnefici poi, Ani, Bianca, Ebe e Gizem sono donne partigiane in un mondo che ancora una volta schiaccia sotto il tallone di ferro dell’ordine le libertà personali.



Quello che fanno Monti e Vecchietti, quello che fanno tantə autorə che con le loro storie resistono al clima politico che aleggia intorno a noi è, come ottimamente espresso nella prefazione a Meglio porco che fascista, antologia curata da Laura Coci e Roberto Del Piano (autorə del Manifesto della Fantascienza Resistente che dà il titolo alla collana da loro curata per Delos edizioni):
scegliere come protagonisti [e protagoniste] della propria narrazione diritti fondamentali e utopie possibili, individuare le smagliature del nostro tempo per pensare (e legittimare) un futuro alternativo a quello che già incombe, riparare alle ingiustizie del tempo presente assumendo il punto di vista degli ultimi, dei deboli, dei diversi.
Perché la resistenza non è morta ottant’anni fa, la resistenza non è finita con la fine della guerra e non possiamo mai abbassare la guardia, non possiamo mai abbassare la testa. Non possiamo lasciare che le nostre voci vengano soffocate, moderate, rese sobrie, rese inoffensive. Non possiamo lasciare che siano lə altrə, che siano loro a raccontare le nostre storie. Perché chi racconta le storie vince, e mai come adesso abbiamo bisogno di una vittoria.
Sabato 3 maggio alle ore 18:30 Andrea sarà a Firenze, ospite della libreria L’ornitorinco per la penultima data del booktour primaverile di FSSF (e l’ultima? amicə venezianə, stay tuned).