Dispaccio Reading Wildlife #8 - Ma che vi aspettavate da Hunger Games?
BenvenutƏ al secondo prequel di Hunger Games, e per fortuna stavolta the odds are in our favor.
Questo articolo non contiene spoiler dai romanzi della saga.
Questa settimana parliamo di uno dei cavalli di battaglia di Angela, una di quelle storie che al pari di Frankenstein e Dune spunta fuori in quasi ogni episodio del podcast (ma anche nelle chiacchiere dal vivo). Ce ne dà l’occasione Sunrise on the Reaping (in italiano L’alba della mietitura, d’ora in avanti abbreviato in Sunrise), prequel della trilogia originale appena arrivato in libreria e che mi pare di aver capito non sia piaciuto a nessunə nell’universo mondo (o forse, come al solito nel world wide web, le persone che si lamentano sono sempre più rumorose di quelle che hanno apprezzato un prodotto).
Un breve riassunto nel caso vi servano delle coordinate o non abbiate ancora ascoltato l’intero episodio che abbiamo dedicato un po’ di tempo fa a questa saga: Hunger Games è una trilogia scritta dall’autrice statunitense Suzanne Collins e pubblicata tra il 2008 e il 2010 (2009-2012 in Italia). La protagonista, Katniss Everdeen, è una sedicenne che si offrirà volontaria al posto della sorellina per partecipare agli Hunger Games, un evento annuale in cui i dodici distretti (ex stati degli USA) che si sono ribellati settantaquattro anni prima contro Capitol devono offrire in sacrificio i loro figli e le loro figlie per il divertimento degli abitanti della capitale. Tra le ispirazioni di Hunger Games troviamo Battle Royale di Koushun Takami e il racconto La lotteria di Shirley Jackson che se non vi ho ancora convinto a leggerlo non so davvero che ci sto a fare io qua. Ma su tutto questo oggi devo andare veloce per arrivare al tema del dispaccio, ovvero i prequel.
A una decina di anni di distanza dall’ultimo libro del trilogia, infatti, a Collins è venuta voglia di tornare a esplorare questo mondo, e lo ha malauguratamente fatto cercando di dare un’anima a Coriolanus Snow, il Presidente di Panem. The Ballad of Songbirds and Snakes (Ballata dell'usignolo e del serpente, d’ora in avanti Ballad) ci offre uno spaccato dei primi anni degli Hunger Games (è infatti ambientato durante i decimi giochi) in una Capitol che porta ancora i segni della guerra, e della fame. La cara Suzanne ci prova in tutti i modi a farci empatizzare con Corio, figlio di un generale caduto in battaglia, ultimo erede di una casata ricca di boria ma ormai povera di risorse. Di nuovo, questo non è il focus di questo pezzo e quindi tocca premere il fast-forward, ma se Ballad non viene ricordato come una delle disgrazie maggiori dell’anno in cui è stato pubblicato è solo perché il 2020 si è messo d’impegno nel fare particolarmente schifo. Oltre alla mia convinzione personale che non necessariamente il villain debba avere alle spalle una storia che spiega come è arrivato a guidare una nazione che ogni anno scommette sulla pelle dellə suə figliə (e del resto, nella vita reale mica ce l’abbiamo, la backstory di tutti quelli che stanno lentamente uccidendo il nostro pianeta), Ballad è un tradimento del cuore pulsante di Hunger Games, quel cuore che sta dalla parte degli ultimi, dalla parte di chi si è visto strappare fino all’ultima speranza, ma che continua comunque a lottare.
Presentandoci una narrazione che segue le azioni e i pensieri di un nobile decaduto, Collins tradisce il patto fatto con lə lettorə anni prima, perché anche il più povero dei potenti resta comunque ammantato del suo privilegio e ogni sua azione sarà sempre mossa dal desiderio di riconquistare quel potere. Snow lands on top, e infatti è lì che finirà Coriolanus, senza mai tradire se stesso, ma tradendo senza grandi problemi chiunque intorno a lui.
Se Katniss, dentro e fuori dall’arena, è mossa da un desiderio di sopravvivere che mette tutti gli altri suoi bisogni e sentimenti in secondo piano, è innegabile però che in lei non ci sia mai una ricerca di potere, ma che anzi, sarà proprio il suo rigetto di un ordine costituito a creare la nuova Panem. Ma anche qua, come direbbe il Professor Oak
e quindi arriviamo a Sunrise, che per qualche motivo non è stato apprezzato dalla fanbase di Hunger Games. Raccogliendo lamentele in qua e là mi pare di aver capito che la storia dei giochi di Haymitch Abernathy (un personaggio secondario della trilogia con un arco di crescita che i protagonisti delle serie Netflix se lo sognano) sia stata recepita come una fan fiction scritta dalla stessa autrice della proprietà intellettuale, e che si lamentino i troppi richiami alla storia di Hunger Games.
Voglio dire. Se vi sembra la stessa storia è perché lo è. Stiamo parlando dello stesso evento che ogni anno miete ventitré vittime (il doppio in Sunrise, che per il cinquantesimo anniversario della fondazione dei giochi vede la sottrazione di quattro giovani per distretto). Stiamo parlando di persone che abitano lo stesso piccolo, povero, polveroso distretto in cui vedremo muoversi Katniss, e Peeta, e Gale, e lo stesso Haymitch. La presenza dei genitori di Katniss nella storia, il riproporsi di simboli come la spilla con la ghiandaia imitatrice, quel sentimento di rabbia nei confronti di un potere pronto a spolpare ogni tua emozione prima di ucciderti, non sono fanservice. Sono worldbuilding. Ventiquattro anni separano gli eventi di Sunrise da quelli di Hunger Games: quanto è cambiato il posto in cui vivete negli ultimi ventiquattro anni? Quante famiglie hanno continuato a crescere, fondersi, quanti figlie e figli sono nate? Perché il distretto dodici dovrebbe funzionare in maniera diversa?
E perché un romanzo della saga di Hunger Games dovrebbe raccontare qualcosa di diverso dagli Hunger Games? Cosa deve fare ancora Suzanne Collins, che da almeno sette anni cerca di spiegarci che questa storia nasce come speculazione narrativa della dottrina della guerra giusta, per farci capire che nuove storie di Hunger Games hanno ragione di esistere solo per offrirci tasselli di quello che è venuto prima della rivolta di Mockingjay? (Il giorno in cui uscirà un sequel di Hunger Games, sarà il giorno che smetterò di leggere le storie di Hunger Games.)
Sarà poi che Haymitch è sempre stato tra i miei personaggi preferiti, ma Sunrise, che tanti elementi ha in comune con Catching Fire, è un perfetto aggiornamento di ciò che viviamo ogni giorno, con la pervasività capillare raggiunta dai media nel manipolare le notizie e la nostra percezione di esse. A differenza di Katniss, che diventerà piacevole agli occhi di Capitol solo grazie allo sguardo di Peeta, che non si troverà mai a suo agio nel ruolo di simbolo, Haymitch si interroga spesso su come diventare personaggio e non più persona, sul modo migliore di dare al pubblico dei giochi quello che più desiderano, senza concedere loro neanche un pezzo del vero se stesso.
Ancora prima dell’inizio dei cinquantesimi Hunger Games, assistiamo a momenti di censura e contraffazione della realtà a opera dell’informazione di Capitol, e non so che deve fare veramente Suzanne Collins più che urlarci nelle orecchie ancora una volta che chi racconta la storia è chi detiene il potere.
È un esempio lampante di quanto facilmente i media possono manipolare la narrazione, soprattutto se nelle mani di un regime senza scrupoli. Ma sembra anche che Collins stia esprimendo un giudizio sulle persone che decidono quali parti della sua storia vedere e quali no. Chi legge i libri e guarda i film di Hunger Games solo per le orribili morti, le stilose sfilate e i triangoli amorosi da perdere la testa, finisce per ignorare quello che l’autrice sta cercando di dire davvero sulla guerra.
Se vi lamentate che Sunrise è solo un’altra storia di Hunger Games, dovreste anche lamentarvi che la nostra realtà è solo un altro presente di ascesa dei totalitarismi, e di deformazione delle notizie, e di bambini che vengono mandati a morire ogni giorno mentre in tv ci raccontano la versione che preferiscono di questo genocidio e di quelli che sono venuti prima e di quelli che verranno domani. Perché ancora una volta, come già fatto con la trilogia originale, Hunger Games ci sta raccontando il presente. Che fantascienza sarebbe altrimenti?
Per approfondire:
Polygon - Every Hunger Games book gets blunter about the messages fans keep missing.
Polygon - Suzanne Collins wants to use Hunger Games to fix our media literacy problem
Suzanne Collins - 10th anniversary interview
Sabato 29 e domenica 30 marzo Angela sarà in giro per Marginalia, rassegna di letteratura weird a Milano. Non sono previsti eventi, ma se la incontrate ha sempre con sé un santino di Ursula Le Guin da regalarvi.
Venerdì 4 aprile Andrea (di sicuro, Angela chissà) sarà ospite della Libreria Nessundove di Empoli per la presentazione di FSSF.
Grazie per la riflessione di questa newsletter. Leggere questo libro mi ha lasciata in uno stato comatoso, proprio perché è un prequel trasparente e dolorosissimo di ciò che avviene prima di una rivoluzione. Non mi è sembrato fan service, ma un dialogo della scrittrice con un'audience cresciuta e che può provare a digerire forse il libro più doloroso e crudo che Collins ci abbia mai donato.